La centralissima via Toledo venne realizzata nel 1563 secondo le direttive del viceré don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga con il chiaro obiettivo di attrarre le famiglie nobili napoletane. Ed è proprio qui, nella "strada più popolosa e allegra del mondo" - come la definì Stendhal - che si staglia Palazzo Zevallos Stigliano.
Oltrepassato il monumentale e severo portale bugnato in marmi e piperni si viene avvolti dalla luce proveniente dall'ampio soffitto vetrato del salone d'ingresso, realizzato su progetto dell'architetto Luigi Platania negli anni ‘20 del Novecento.
Le sale espositive hanno colori vivaci e freschi, come il verde della Sala della Fedeltà che ospita le opere di Vincenzo Gemito o l'arioso soffitto della Sala degli Uccelli, nella quale si possono ammirare alcune celebri vedute napoletane.
Impossibile poi non notare le eleganti decorazioni pittoriche presenti in ogni angolo del museo.
Al centro della grande volta al piano nobile si può ammirare l'Apoteosi di Saffo di Giuseppe Cammarano. Inquadrata da una cornice dorata di spiccato gusto Impero, la poetessa in abiti classicheggianti è rivolta verso il dio Apollo seduto sulle nuvole sullo sfondo di un cielo dorato popolato dalle figure delle Muse; un putto regge la cetra, simbolo di Apollo, sulla quale compaiono le iniziali CF che si riferiscono al banchiere Forquet, committente dell'opera. Di spiccato stile accademico, con accentuate influenze classiche, la raffigurazione sembra tuttavia rendere omaggio anche alla pittura barocca del Giordano, che era presente nel palazzo con sue opere, cui rimanda l'atmosfera dorata che permea i fondi, le nuvole e il cielo.
Le pareti sono invece dipinte a tempera da Gennaro Maldarelli, stretto collaboratore del Cammarano. Qui le figure femminili delle Muse appaiono come un chiaro riferimento all'arte del Canova e sono disposte in alternanza con un complesso ornato di candelabre, ovali, animali, vasi di fiori, elementi vegetali, puttini danzanti.
Nell'insieme i dipinti restituiscono un ambiente di grande pregio, grazie anche alla presenza di lampade di ottone di gusto Liberty, che risalgono all'ultima fase dei lavori nel palazzo risalente agli inizi del Novecento.
Nella Sala degli Stucchi - dove è esposto il Martirio di sant'Orsola di Caravaggio - troviamo decorazioni neoclassiche che ricordano alcuni gruppi mitologici di Antonio Canova e, sul soffitto, la raffigurazione del Sonno da una composizione di Bertel Thorvaldsen.
Nobili e borghesi a palazzo
Il primo proprietario di Palazzo Zevallos Stigliano fu il ricco mercante spagnolo Giovanni Zevallos che nel 1639 affidò la realizzazione della sua nuova casa a Bartolomeo Picchiatti, architetto e Ingegnere Maggiore del Regno.
Nel corso dei tumulti popolari del 1647, l'edificio venne preso d'assalto e dato alle fiamme, subendo considerevoli danni. Inoltre i debiti contratti dai Zevallos li costrinsero a vendere la loro dimora ai Vandeneynden, mercanti originari di Anversa.
Jan, giovanissimo capostipite del ramo partenopeo di questa famiglia, era approdato a Napoli intorno al 1611-1612 per gestire i ricchi commerci condotti tra l'Italia e le Fiandre. Le sue fortune crebbero ulteriormente in seguito al legame professionale stretto con Gaspare Roomer, un altro mercante-finanziere anversano nonché raffinato collezionista e commerciante di opere d'arte.
Nel corso degli anni la fortuna di Jan aumentò notevolmente tanto da riuscire ad acquistare il palazzo degli Zevallos tra 1659 e 1661 e persino il titolo di Marchese di Castelnuovo per il figlio Ferdinand.
Non dimentichiamo inoltre che la famiglia Vandeneynden era imparentata con quelle di diversi artisti fiamminghi (Brueghel, de Wael, de Jode per citarne alcuni) attivamente impegnati anche nel mercato dell'arte. Grazie a questa fitta rete di relazioni iniziò a prendere forma una delle maggiori raccolte napoletane del XVII secolo. Nel palazzo di via Toledo era custodita una straordinaria collezione d'arte che comprendeva opere di grande rilievo - come Il banchetto di Erode di Rubens, ora in esposizione alla National Gallery of Scotland di Edimburgo - proveniente dall'eredità di Gaspare Roomer. La collezione si ampliò in occasione del matrimonio di Ferdinand Vandeneynden con Olinda Piccolomini, esponente della nobile famiglia senese-romana, che si trasferì a Napoli portando con sé molti ritratti della propria famiglia e numerose serie di arazzi.
I Vandeneynden abitarono in via Toledo per ben due generazioni e durante questo arco temporale l'edificio fu ristrutturato più volte. Di grande importanza furono i lavori eseguiti dall'architetto certosino Bonaventura Presti, che realizzò anche il magnifico portale bugnato ingentilito dai giochi cromatici ottenuti dall'accostamento del piperno a marmi color avorio.
Nel 1688 Giovanna ed Elisabetta Vandeneynden, figlie di Ferdinand e Olinda Piccolomini, sposarono rispettivamente Giuliano Colonna e Carlo Carafa di Belvedere e la proprietà passò ai Colonna di Stigliano che la mantennero fino a Ottocento inoltrato. Durante questo arco di tempo la sfarzosa residenza fu sempre al centro della vita aristocratica cittadina, accogliendo spesso la nobiltà napoletana e la stessa famiglia vicereale.
Nel 1831 la principessa di Stigliano, Donna Cecilia Ruffo, a causa del mancato pagamento di un credito dotale nei suoi confronti da parte dei figli, decise di espropriare l'intero patrimonio e mettere in vendita il palazzo.
Da quel momento in poi l'edificio iniziò ad essere frammentato tra inquilini di diverse estrazioni sociali, perdendo sempre più l'omogeneità architettonica degli ambienti interni: Donna Cecilia tenne per sé il secondo piano nobile, il banchiere Carlo Forquet occupò il primo piano nobile e il cavaliere Ottavio de Piccolellis unì in un unico appartamento due alloggi prima separati al piano ammezzato.
I nuovi proprietari decisero di rimodernare sia l'esterno che l'interno dell'edificio secondo il gusto del tempo, in linea con quanto si andava facendo in quegli anni per molti dei palazzi di via Toledo.
Valori e opere a palazzo
Il 13 dicembre 1898 inizia il penultimo capitolo della storia del palazzo quando la Banca Commerciale Italiana acquistò il primo piano nobile e gli altri locali di proprietà dei Forquet.
Alla fine degli anni Venti del Novecento iniziarono i lavori di restauro che trasformarono drasticamente il volto dell'edificio:
il cortile del palazzo fu trasformato in un salone apponendo eleganti vetri policromi con decorazioni in stile floreale;
al piano ammezzato vennero aperte delle balconate di gusto Liberty;
fu eretto un imponente scalone d'onore in marmo per condurre ai piani superiori.
Passiamo velocemente agli anni 2000: oggi le Gallerie d'Italia di Napoli espongono oltre 120 opere che permettono di ripercorrere le vicende salienti delle arti figurative in città, dagli esordi del Seicento fino ai primi anni del Novecento.